Cosa significa lo yoga come stile di vita e vivere lo yoga?
Come spiegato nei precedenti articoli la missione di YSA può essere sintetizzata nel seguente modo:
– Promuovere lo studio, la pratica e la conoscenza dello Yoga attraverso le sue 4 dimensioni principali: lo yoga come “pratica”, lo yoga come “sadhana”, lo yoga come “stile di vita”, lo yoga come “cultura yogica”.
– Sperimentare e promuovere la vita di ashram: la vita comunitaria basata su uno stile semplice, laborioso e canalizzato all’innalzamento spirituale, dove la personalità si evolve e i punti di forza vengono consolidati. Un luogo dove sono messi in pratica in maniera prioritaria i precedenti punti, lo yoga come pratica, come sadhana, come stile di vita, come cultura e su tutti e tre i livelli della personalità umana, senza le distrazioni e gli stress della mondanità, della quotidianità. Un luogo che possa essere un’oasi di pace e armonia per i suoi ospiti.
– Sistemare e costruire tutti gli annessi necessari affinché l‘ambiente esterno diventi “un giardino”.
– Creare un’indipendenza economica, energetica e alimentare per i residenti e gli ospiti.
– Creare una comunità di residenti interessati a quanto detto sopra.
– Passare tutto questo alla generazione successiva.
Fare tutto ciò è stato, lo è e sarà uno sforzo enorme!
Si passa dal fare tutta una serie di attività fisiche a quelle mentali; dalle lezioni al cucinare; da momenti di gioia al gestire problemi che sembrano insormontabili. Nel fare tutto questo lo yoga nelle sue varie forme (asana, pranayama, karma yoga, mantra yoga, ecc,) è una componente costante e regolare delle attività giornaliere e contribuisce a creare un particolare stile di vita, grazie al quale (parliamo per esperienza diretta, oltre a quello che i nostri maestri ci ripetono continuamente) la vita assume una particolare qualità. Si può sperimentare uno stato di gioia (santosha) che non è dato da quello che accade esternamente. Certo, i momenti di convivialità, la natura circostante, le pratiche, il condividere tutto questo potrebbero contribuire, ma in ashram, come abbiamo detto si sperimenta anche l’opposto, la tensione e le varie emozioni negative non possono essere rimandate, ma la differenza sta nel modo in cui vengono vissute da ognuno e tutto questo contribuisce da un lato ad espandere il nostro prana, la nostra energia, dall’altro a vivere lo yoga, cioè a vivere la vita in una maniera più piena.
Per approndire lo Yoga e per ciò che riguarda la differenza fra i suoi vari aspetti e dimensioni, si riporta di seguito un estratto di una delle conferenze tenute da Swami Niranjanananda Saraswati durante il programma “SATYANANDA YOGA FESTIVAL” svoltosi nel mese di maggio del 2006 al Lido di Venezia, organizzato da Satyananda Ashram Italia:
La pratica di Yoga
Quando iniziate a praticare yoga per una vostra necessità, per esempio perché soffrite di mal di schiena e volete conoscere alcune pratiche specifiche in merito, allora utilizzate lo yoga per un vostro bisogno particolare. Può darsi che vogliate utilizzare lo yoga per gestire lo stress e i livelli di ansia, allora potreste voler sperimentare alcune pratiche di meditazione, ne provate una, poi un’altra ancora, poi ancora una terza e se scoprite che non avete ottenuto il risultato desiderato o che sembra troppo lontano, abbandonate le pratiche.
Successivamente, ispirati da qualcosa o da qualcuno, riprendete le pratiche e poi ancora le interrompete e prendete un periodo sabbatico di qualche mese. Praticare saltuariamente un po’ di meditazione o solo tecniche fisiche ed utilizzare lo yoga per necessità personali. Questo è ciò che io definisco “pratica yogica”, l’interesse non va oltre il praticare per bisogni specifici personali.
Il 90% dei praticanti di yoga ricade in questa categoria: praticano yoga perché sentono che è utile per le loro necessità fisiche, perché si sentono più leggeri ed energici o perché vogliono affrontare i loro stress o le loro ansie. Questo scopo è più o meno materiale o mondano.
Quando praticate yoga per disciplinare voi stessi così da sperimentare l’armonia, per gestire le modificazioni della mente e per coltivare la consapevolezza sino a diventare l’osservatore di voi stessi, allora questa pratica di yoga è chiamata “yoga sadhana”. Sadhana significa ottenere la perfezione tramite uno sforzo costante.
Ottenere la disciplina, gestire le fluttuazioni della mente e coltivare l’espansione della consapevolezza sono i tre scopi definiti dal raja yoga. Pochissimi giungono a questo livello di pratica perché, in realtà, la maggior parte delle persone non gradisce essere disciplinata, non vuole seguire una disciplina perché ritiene che richieda troppe restrizioni. Ma dal punto di vista yogico, la disciplina non richiede troppe restrizioni: è piuttosto una corretta sintonizzazione di noi stessi, come una radio che deve ricevere un segnale chiaro. Quando si accende per la prima volta una radio non sintonizzata su alcuna stazione, si riceve solo molto rumore, lo stesso accade per la televisione e in quel caso si vede solo l’effetto neve. Immaginate un televisore che, quando acceso, vi mostri i canali sovrapposti, cosa vedete? Nessun canale, perché si sovrappongono uno all’altro. Ma quando la sintonizzazione è corretta allora si vede un canale, poi cambiando un altro e così via e ci sarà chiarezza di immagini e suono. Proprio come la sintonizzazione è necessaria per definire la frequenza di ogni canale, allo stesso modo è necessaria per vedere ogni espressione della coscienza, della mente e dell’energia individuale. Questo è il concetto di disciplina: sintonizzare noi stessi con le giuste frequenze in rapporto ai nostri pensieri, ai nostri desideri, alle nostre aspettative, alle nostre ambizioni, ai nostri bisogni, alle nostre forze e alle nostre debolezze.
Quindi lo scopo della disciplina nello yoga è una corretta sintonia di questo strumento di ricezione. Perciò disciplina non significa restrizione, e sicuramente non in sanscrito, perché la parola che si usa significa “governare la natura sottile della personalità umana”. La traduzione del concetto sanscrito di anushasanam con il termine disciplina non è corretta. Il concetto esatto è “adeguata sintonizzazione delle frequenze individuali” e questo accade quando si è in grado di seguire una progressione nello yoga in modo sistematico.
Prima ho detto che il 90% delle persone eseguono pratiche di yoga, del rimanente 10%, solo il 5% circa segue un sadhana yogico che implica un lavoro molto intenso su sè stessi, un’osservazione costante delle proprie espressioni.
Yoga sadhana
Se questa situazione è intesa come pratica yoga, cosa intendiamo come sadhana yogico? Lo yoga ha definito determinati obiettivi, il primo dei quali è l’armonia tramite la disciplina. Questo è anche il contenuto del primo sutra di Patanjali: “Atha yoganushasanam”.
Il primo scopo è scoprire l’armonia della natura dell’individuo attraverso la disciplina. Il secondo passo dello yoga consiste nel gestire la mente, nel disciplinare la mente dissipata, chitta vritti. Il terzo obiettivo concerne lo sviluppo della consapevolezza ad un livello tale da diventare l’osservatore delle proprie azioni. Il raja yoga di Patanjali definisce questi tre obiettivi dello yoga nelle prime tre affermazioni di apertura dei sutra. Quando praticate yoga per disciplinare voi stessi così da sperimentare l’armonia, per gestire le modificazioni della mente e per coltivare la consapevolezza sino a diventare l’osservatore di voi stessi, allora questa pratica di yoga è chiamata yoga sadhana.
Sadhana significa ottenere la perfezione tramite uno sforzo costante. Ottenere la disciplina, gestire le fluttuazioni della mente e coltivare l’espansione della consapevolezza sono i tre scopi definiti dal raja yoga. Pochissimi giungono a questo livello di pratica perché, in effetti la maggior parte delle persone non gradisce essere disciplinata, non vuole seguire una disciplina perché ritiene che richieda troppe restrizioni. Ma dal punto di vista yogico, la disciplina non richiede troppe restrizioni, è piuttosto una corretta sintonizzazione di noi stessi, come una radio che deve ricevere un segnale chiaro. Quando si accende per la prima volta una radio non sintonizzata su alcuna stazione, si riceve solo molto rumore, lo stesso accade per la televisione e in quel caso si vede solo l’effetto neve. Immaginate un televisore che, quando acceso, vi mostri i canali sovrapposti, cosa vedete? Nessun canale perché si sovrappongono uno all’altro. Ma quando la sintonizzazione è corretta allora si vede un canale, poi cambiando un altro e così via e ci sarà chiarezza di immagini e suono. Proprio come la sintonizzazione è necessaria per definire la frequenza di ogni canale, allo stesso modo è necessaria per vedere ogni espressione della coscienza, della mente e dell’energia individuale. Questo è il concetto di disciplina: sintonizzare noi stessi con le giuste frequenze in rapporto ai nostri pensieri, ai nostri desideri, alle nostre aspettative, alle nostre ambizioni, ai nostri bisogni, alle nostre forze e alle nostre debolezze.
Quindi lo scopo della disciplina nello yoga è una corretta sintonia di questo strumento di ricezione. Perciò disciplina non significa restrizioni, e sicuramente non in sanscrito, perché la parola che si usa significa governare la natura sottile della personalità umana. La traduzione del concetto sanscrito di anushasanam con il termine disciplina non è corretta. Il concetto esatto è “adeguata sintonizzazione delle frequenze individuali” e questo accade quando si è in grado di seguire una progressione nello yoga in modo sistematico.
Quando Swami Shivananda iniziò ad insegnare yoga ai suoi discepoli, circa cinquant’anni fa, diceva che nella pratica dello yoga ci deve essere una miscela di differenti tecniche. In una sessione di yoga bisognerebbe inserire cinque diversi tipi di pratiche: una di yama, una di niyama, una di asana, una di pranayama e una di concentrazione. Egli ha dato queste linee guida che a tutt’oggi seguiamo nell’ashram, perché lui diceva che per armonizzare la personalità e svilupparne tutte le diverse aree di espressione si deve praticare lo yoga.
Le distrazioni e i disturbi sensoriali possono essere gestiti con la pratica delle asana e gli squilibri pranici possono essere trattati con la pratica di pranayama; le energie mentali dissipate possono essere canalizzate con le pratiche di concentrazione mentre creare un cambiamento nel modello di comportamento mentale, negli atteggiamenti della mente è possibile adottando e vivendo uno yama e un niyama. Quando queste pratiche sono eseguite nel modo corretto, nella giusta combinazione, allora si ottiene l’armonia fisica e psicologica e la personalità è ben sintonizzata. In relazione al concetto di sadhana è chiaro che il primo passo in questo processo è di ottenere disciplina o controllo dei processi sottili della personalità. Quando seguiamo e cerchiamo di raggiungere gli obiettivi stabiliti nello yoga, allora le nostre pratiche diventano “yoga sadhana”, uno sforzo costante e continuo per raggiungere la meta stabilita dallo yoga. Prima ho detto che il 90% delle persone eseguono pratiche di yoga, del rimanente 10%, solo il 5% circa segue un sadhana yogico che implica un lavoro molto intenso su se stessi, un’osservazione costante delle proprie espressioni.”
Lo stile di vita yogico
Il terzo livello è quando lo yoga diventa uno stile di vita e in questo gruppo la percentuale di praticanti si riduce al 3%. Cos’è lo stile di vita yogico? Quando iniziate ad esprimere nella vostra vita gli obiettivi dello yoga e la comprensione generata dalla sua pratica, allora la vita diventa uno stile di vita yogico. Quando iniziate a vivere i principi dello yoga e ad applicare le tecniche dello yoga per gestire le situazioni quotidiane, allora lo yoga diventa uno stile di vita. A quel punto lo yoga non è più un insieme di pratiche eseguite per motivi specifici o periodi specifici ma diventa un’espressione naturale della vita.
Ricordo che una volta avevamo un seminario per bambini dai sei anni in su, un giorno avevamo praticato pranayama e avevo detto loro: “Ogni volta che siete in pericolo trattenete il respiro il più a lungo possibile e il pericolo se ne andrà”. Circa quattro giorni dopo alcuni bambini erano andati a giocare vicino ad una cisterna d’acqua ed un bambino di cinque anni vi cadde dentro. Ovviamente ci furono delle grida ed io, che mi trovavo nei paraggi, li raggiunsi, saltai dentro la cisterna e lo tirai fuori. Quando emerse, il bambino sorrideva e io non ebbi cuore di adirarmi ma gli chiesi cosa avesse fatto sott’acqua e la sua risposta fu: “Stavo trattenendo il respiro”.
Una semplice affermazione che però mi fece pensare. Quando un bambino sente delle istruzioni e le usa comprendendo che in una situazione difficile come quella di trovarsi sott’acqua deve trattenere il respiro, allora capisco che continuerà ad utilizzare queste istruzioni nel corso della sua vita.
Veniamo ad un esempio riguardante lo stress. Quando lo stress si accumula nella vita, allora inizia ad influenzare la mente ed il comportamento, talvolta si manifesterà in forma di insonnia, talvolta in forma di ipertensione. Ma qualunque sia la forma cosa fate, come lo gestite? La cosa più semplice sarebbe ingoiare una pillola e ritornare alla quotidianità. Se soffrite di ipertensione prendete una pillola per ridurla, se soffrite d’insonnia prendete un sonnifero, questo è quello che le persone fanno generalmente. Ma se nella vostra vita avete lo yoga e con bhramari pranayama siete in grado di gestire il vostro stress, non avete bisogno di medicine per gestirne gli effetti. Allora quali possibilità ci sono per una persona in grado di usare lo yoga per gestire lo stress? Per esempio, se è in ufficio, può andare al bagno, chiudere la porta, sedersi e praticare bhramari per dieci volte, ritornando poi al lavoro. Oppure la sera, una volta rientrata a casa, anziché sedersi con un bicchiere di birra, può praticare yoga nidra per dieci o quindici minuti prima di rapportarsi agli altri. In questo modo, se utilizzate lo yoga nei diversi momenti della giornata, potrete gestire lo stato del corpo e della mente superando molti disturbi fisiologici e psicologici creati dallo stress.
Così lo yoga diventa uno stile di vita e non qualcosa che viene praticato un’ora il mattino oppure in un centro il martedì o il venerdì col vostro insegnante di yoga. Potete utilizzare lo yoga ogni momento per gestire le diverse situazioni che dovete affrontare; per esempio, nel traffico cittadino potete usare una profonda respirazione addominale, in ufficio o nel bagno dell’ufficio (se è pulito) potete praticare pranayama, al pomeriggio o la sera per allentare gli stress accumulati potete praticare yoga nidra. In ufficio potete anche praticare cinque minuti di consapevolezza del respiro per liberare la mente da stanchezza e confusione. In questo modo lo yoga diventa parte del vostro comportamento naturale nella vita.
Questo è lo stile di vita yogico, quando iniziate ad applicare, ad utilizzare le pratiche di yoga nelle attività e nella routine quotidiana.
La cultura yogica
Quando l’utilizzo dello yoga nella vita quotidiana diventa più spontaneo, allora la mente, il comportamento e l’attitudine riflettono la consapevolezza yogica. Questa espressione, questo riflesso della consapevolezza yogica è conosciuto come cultura yogica e circa il 2% delle persone raggiunge questo livello.
Durante questo incontro desidero presentare lo yoga in questo modo: come pratiche, come sadhana, come stile di vita e come cultura yogica, perché in definitiva dobbiamo riuscire a nutrire la nostra personalità e la nostra natura. Una volta che riusciamo a riconoscere il ruolo dello yoga nella nostra vita, allora potremo realmente apprezzarlo.
Qui trovate la versione integrale della conferenza: